Rating distinto per aziende e Stati sovrani

La crisi economica ha reso evidente, come scrive Guido Rossi in un saggio che sarà presto pubblicato, la metamorfosi del diritto societario. La forza dell'organizzazione economica si è imposta agli Stati, in quanto molte regole sono create in una dimensione che prescinde dal singolo ordinamento, ovvero imposte dietro la minaccia di localizzare le intraprese economiche in altri luoghi. Altre norme entrano nell'ordinamento per effetto di standard e di principi internazionali cui la norma nazionale fa mero rinvio. Ciò pone oggi il problema fondamentale di riappropriarsi e riportare nel perimetro del dialogo democratico e dell'interesse generale la produzione della ricchezza collettiva. Questa considerazione si adatta al tema delle agenzie di rating e alle proposte di regolazione formulate a livello comunitario. Alla fine dell'Ottocento, John Moody e Henry Poor iniziano a pubblicare negli Usa i dati sulle imprese ferroviarie e poi a fare valutazioni sull'affidabilità finanziaria degli emittenti. Nulla è cambiato da allora: il rating è nulla più d'un parere che si ottiene attraverso un contratto di diritto privato. Qui interviene la "metamorfosi" che trasforma un giudizio in un potere privato sottratto a qualsiasi controllo che si impone e orienta il comportamento di imprese e Stati.
La crisi dei debitori privati del 2008 e dei debitori pubblici e dei prestiti sovrani del 2010 danno compiuta prova di questa affermazione. Nel primo caso il giudizio delle agenzie di rating è stato lo strumento con cui si è garantita una patologica immunità alle operazioni che hanno trasferito il rischio dei mutui subprime. La distorsione potenziale che si genera è più evidente quando con il rating si valuta il debito degli Stati e si spostano enormi quantità di denaro. Si realizza un effetto paradossale: la ricchezza delle nazioni, un tempo inscindibile dagli elementi costitutivi dello Stato, è oggi un bene volatile, rimesso alla scelta delle tre agenzie internazionali. 
Molto spesso il giudizio dell'agenzia, quando negativo, anticipa di poco eventi ineluttabili. Il caso giudiziale italiano più noto è quello deciso nel fallimento Parmalat, nel quale l'agenzia di rating ha modificato il giudizio solo pochi giorni prima del default. In questo caso si registra un'altra singolarità. Nonostante l'affidamento creato, gli investitori non sono tutelati: il rating è fondato sulle informazioni fornite dagli emittenti e non copre contrattualmente il rischio dai comportamenti fraudolenti, anche quando essi sono palesi.
Il rating finisce con l'accentuare gli effetti della crisi. Visto l'eccessivo peso dato al rating, quando vira in negativo, può ridurre in modo eccessivo e discutibile l'ammontare delle garanzie utilizzabili per le operazioni di liquidità. Lo stesso vale per quei contratti nei quali la gestione di portafogli di investimento stipulati con la clientela prevede la dismissione automatica dei titoli in caso di loro downgrade. 
È indispensabile tentare di mettere ordine con due obiettivi: da un lato, evitare l'effetto di eccesso di affidamento (over-reliance), dall'altro sterilizzare il cliff effect o effetto scogliera, che produce la caduta verticale del valore di un titolo nel momento in cui scende al di sotto di un determinato rating. È necessario operare una distinzione tra il regime che si applica al debito degli Stati e quello dei titoli dei privati. Si tratta di poste diverse e i rischi di conflitto di interessi non sono omogenei ovvero non possono essere regolati in modo uniforme. Ci si deve poi interrogare se il giudizio sul debito pubblico debba essere rimesso a soggetti privati che operano per massimizzare il proprio utile.
Bisogna interrogarsi se non è arrivato il momento di istituire un'autorità di rating pubblica europea. La crisi economica ha modificato la sensibilità sul tema. Sino a non molto tempo fa prevaleva lo scetticismo e le risposte negative, tenuto conto del fatto che si diceva che ciò sarebbe stato inefficiente e avrebbe generato distorsioni, in quanto il rating dato da un soggetto pubblico avrebbe creato l'aspettativa di intervento statale nel caso in cui un soggetto valutato positivamente si fosse poi rivelato inaffidabile (moral hazard). Oggi sono più evidenti i benefici di questa possibile scelta. Ci si deve infine chiedere se sia opportuno percorrere la strada indicata dalla Commissione europea di una forte regolamentazione del rating concesso agli operatori privati, atteso che ciò rischia di accentuare l'affidamento collettivo sul giudizio. Una scelta in parte diversa che va invece valutata è se non sia meglio contenere i rinvii al rating, sostituendoli o integrandoli con altri strumenti in grado di svolgere analoga funzione (quale ad esempio il differenziale del costo del denaro per l'emittente).
Parimenti, si potrebbe optare per parametri più elementari di leva finanziaria delle banche, rendendo così molto meno significativo il valore del giudizio espresso dal rating.